
Don Giovanni Minzoni – Servo di Dio
1885 – 1923
Premessa.Il Dicastero per la Dottrina della Fede (fino al 1908 chiamato Santa Inquisizione e successivamente Sant’Uffizio) il 1° marzo 2023, comunica con proprio documento alla Curia Arcivescovile di Ravenna – che aveva a suo tempo presentato istanza in merito – di aver concesso il “Nulla osta” all’inizio del Processo per la beatificazione di don Giovanni Minzoni.
Informa inoltre che detto loro “Nulla osta” è stato inoltrato al Dicastero per la Causa dei Santi. Detto Dicastero, in data 3 marzo 2023, trasmette il proprio “Nihil obstare” all’Arcivescovo S.E. mons. Lorenzo Ghizzoni, il quale può così indire il Processo per la beatificazione di don Giovanni Minzoni.
7 ottobre 2023. Nel Duomo di Ravenna l’Arcivescovo con una specifica cerimonia, procede alla costituzione del Tribunale diocesano che, anche avvalendosi di una Commissione storica, dovrà raccoglie testimonianze e documenti sulla vita di Don Minzoni. Da quel momento al Martire, assassinato da sicari fascisti il 23 agosto 1923, è proclamato “Servo di Dio”.
La sua Storia.
Giovanni Minzoni nasce terzo di 5 fratelli a Ravenna il 29 giugno 1885 da Pietro Minzoni e Giuseppina Gulmanelli che, di lì a poco, gestiranno la centrale Locanda Cappello. I genitori non frequentano la Chiesa, ma battezzano tutti i loro figli, cosa insolita a quei tempi. Così il 30 giugno Giovanni viene battezzato nel Battistero Neoniano, fonte battesimale di Ravenna. Entra in Seminario nel giugno del 1896, a 11 anni.(1) Egli è il compagno buono, a cui non si ricorre mai invano per un consiglio, per un aiuto, per una parola; è l’amico, col quale si fraternizza al primo incontro, attratti dalla sua calda parola e dalla sua inesauribile bontà.
Per la sua attitudine con i giovani coadiuva spesso il Rettore mons. Angelo Bignardi nell’attività del ricreatorio. Diventa sacerdote il 18 settembre 1909 e il giorno dopo dice la sua prima messa. Scrive sul suo Diario: «Domani Sacerdote! Domani sarò discepolo, apostolo di Cristo! Domani la Chiesa avrà nelle sue schiere un santo o…un Giuda!… Questa sera il Vescovo m’ha detto col volto sorridente: «Sei pronto?», «Eccellenza, sono pronto alla guerra» io gli ho risposto; ed egli m’ha sorriso di nuovo. Oh! Signore fa che io possa essere fedele a quanto t’ho promesso in questi giorni e che ti prometterò con un fervore vergine il primo giorno che ti chiamerò in terra fra le mie mani, nel mio cuore. Nel mio santino che rilascerò ai miei cari ho scritto: “Signore, fa ch’io sia tuo degno Sacerdote non solo all’Altare, ma nella vita e nel sacrificio di me stesso – sempre!” Questo è il mio voto, il mio programma di vita al quale voglio essere fedele sino alla morte: flangar non flectar!» (mi spezzo ma non mi piego!).
Viene inviato ad Argenta, nel ferrarese, l’8 febbraio 1910 come vicario dell’arciprete don Gioacchino Bezzi, anziano e da tempo malato. Don Lorenzo Bedeschi nel suo primo libro sul Martire scrive:«Don Minzoni vi andò con l’animo perplesso, trepidante, ma sacerdote ubbidiente e disciplinato. Subito Egli si faceva apprezzare per la sua indole franca e gioviale, per la sua fervida attività e per le sue impareggiabili doti nella esplicazione del ministero sacerdotale».
Argenta, una terra che sembrava di nessuno per l’abbandono sociale ed anche religioso in cui era lasciata, teatro di agitazioni e di conflitti operai ed epicentro di lunghi e cruenti scioperi agricoli (2). In questo estremo contesto don Giovanni Minzoni comprende il bisogno urgente di allevare cristianamente la nuova generazione, specialmente i giovani e i fanciulli; ed a questi si rivolge subito con abnegazione straordinaria. Scrive ancora Lorenzo Bedeschi «Don Minzoni era sempre in mezzo ai suoi ragazzi. I giochi più fanciulleschi non lo lasciavano appartato. Giocava a palla avvelenata, al tiro della fune… Anche dentro i canali a tirare la rete, con la veste talare tirata su. Povera veste talare! Sempre rotta e sempre da rammendare… Quando la domenica mattina da San Francesco, dove nel Ricreatorio spiegava il catechismo a questo sciame rumoroso di ragazzi, si spostava verso la chiesa di san Nicolò per celebrare la messa delle ore 10, sembrava una chioccia. Assediato, stritolato, lungo il tragitto arrestava il traffico. Argenta imparò a conoscerlo e ad amarlo proprio dai ragazzi».
Così si dedica, nel cortile della vecchia Chiesa di San Francesco e lavorandoci anche manualmente, alla costruzione del ricreatorio parrocchiale maschile, che vuole comune all’altra Parrocchia, dotandolo di un grande salone utilizzato anche per le adunanze, le conferenze, le recite teatrali e per il nuovo cinematografo, unico del paese. Nell’adiacente orto ricava un primo campetto per il gioco dei ragazzi. A poco a poco i giovani accorrono. Don Minzoni poi, per tentare di arginare l’egemonia socialista, affitta dei terreni agricoli per farli lavorare al piccolo gruppo di contadini cattolici che resisteva alla propaganda e pressioni avversarie.
Scrive nel suo Diario nel dicembre 1911:«In questi cinque mesi ho lavorato come un cane per l’inaugurazione del bellissimo salone ricreatorio con teatro e cinematografo. Argenta è rimasta meravigliata di tanto lavoro e quanti hanno veduto ne sono rimasti sinceramente entusiasti. Ora che l’opera materiale è compiuta è necessario intraprendere quella morale».
Il 2 aprile 1912 il giovane Cappellano scrive:«Il presente non è il giornale delle mie memorie, ma un quaderno ove trascrivo pensieri, sentimenti e frasi talvolta elaborati nel silenzio della mia stanza, ma che, il più delle volte, attraversano quasi repentinamente la mia coscienza. Sono pensieri buoni – giudizi retti? Non è di ciò che mi preoccupo. Io intendo solo di fermare nella carta, così come nascono, questi brani di coscienza – queste aspirazioni del mio cuore – questi flussi o riflussi del mio spirito, per poter poi al tramonto della mia vita rintracciare, attraverso questi spunti, il mio Io del tempo che fu».
Sente l’esigenza di studiare: giudica la cultura del seminario insufficiente per meglio comprendere la realtà sociale in cui vive. Per questo dal 1912 al 1914 partecipa ai corsi estivi della Scuola sociale di Bergamo, gestita dai Gesuiti, dove si laurea Dottore in Scienze sociali con il massimo dei voti.(3) I nuovi studi gli fanno acquisire quella chiara visione dei problemi spirituali e sociali che gli permetteranno una lungimirante attività sacerdotale. Alla morte di don Bezzi nel 1916 viene designato a succedergli con voto plebiscitario dei capifamiglia, antico privilegio degli argentani, ma deve rimandare la presa di possesso della Parrocchia perché è scoppiata la guerra. Nel luglio, a 31 anni, è chiamato alle armi e destinato, per un suo lieve difetto di vista alla Sanità, prima ad Ancona e quindi negli ospedali di Cagli e Urbino.(4) A contatto con le sofferenze dei feriti, per lo più gente semplice, povera e analfabeta, matura la convinzione che il suo posto non è nelle retrovie, ma in trincea tra i fanti, perché questi erano i suoi poveri e solo li poteva condividerne la vita. Fa domanda per diventare Cappellano militare per un Reggimento al fronte. Scrive lo storico Enzo Tramontani: «Don Giovanni Minzoni, in un momento storico in cui la figura del prete era denigrata, vilipesa, quasi sospinta ai margini della società, andando al fronte ha cercato una patente per avere il diritto di parlare agli uomini, di farsi ascoltare dagli uomini con l’autorità di un ex combattente e non con l’immagine di un imboscato che resta a casa mentre la gioventù al fronte sta morendo».
Nel febbraio del 1917 la sua istanza viene accolta e assegnato col grado di Tenente al 255° Reggimento di Fanteria, Brigata Veneto.(5) La sua nuova ”Parrocchia” conta 3000 uomini. A Volpago del Montello (Tv) il 18 marzo 1917 don Minzoni celebra la sua prima Messa al campo, utilizzando come altare alcune casse di munizioni coperte da una bandiera tricolore.(6) Il 10 giugno, nella battaglia sul Monte Zebio, altipiano di Asiago, ha sotto i colpi di cannone – come scrive sul Diario – il suo « battesimo del fuoco». Diviene presto amico dei fanti e degli ufficiali, dei credenti e degli atei. Di tutti. Dal suo Diario: «Devo cercare di conciliare la mia vocazione col dovere di servire la Patria. Mi vedranno non un eroe, ma almeno un sacerdote che senza avere gridato – evviva la guerra -, ha saputo accorrere là dove vi era una giovane vita da confortare, una lacrima da sublimare»(7).
Nei brevi periodi di licenza corre sempre a visitare la sua parrocchia. Con quale festa vi era accolto! Se vi capita in giorni festivi tiene omelie in chiesa, fa il catechismo, accoglie attorno a sé i fanciulli e i giovani, visita gli istituti, le famiglie, gli ammalati.
Il 4 settembre, nella battaglia di Brestovizza, rischiando la vita e sotto il tiro nemico, soccorre e porta in salvo diversi soldati feriti. Il maggior generale Leopoldo Durando, comandante la Brigata Veneto, si complimenta personalmente con Lui.(8) L’8 ottobre a Flondar/Pieris soccorre, sfidando il pericolo, il capitano medico Enrico Vanelli gravemente ferito. Dal 26 al 31 ottobre 1917 durante la ritirata di Caporetto, pur febbricitante per la malaria, rifiuta un comodo trasporto e a piedi assiste i suoi soldati nella ritirata della Brigata, fino al Piave. Il 15 giugno 1918, a Salettuol, nei pressi della Grave di Papadopoli, un’isola ghiaiosa sul Piave, per salvare alcuni soldati che stavano per essere catturati, si fa promotore di un’azione in prima linea, meritandosi la Medaglia d’Argento al Valore Militare.(9)
Marziano Guglielminetti, Capitano del 255° Reggimento, scrive nel suo libro Il Momento pubblicato il 29 agosto 1923:«E venne nel giugno 1918 l’ora della prova suprema: gli austriaci avevano superato la prima linea: Salettuol, un mucchio di ruine infiammate; molti dei nostri feriti ed uccisi: colpito a morte il tenente Pietro Albini, splendida figura di ufficiale, comandante del plotone arditi del Reggimento; contesa la via di Treviso. Don Minzoni – benedicente ai moribondi, consolatore fra i feriti, mirabile nella bufera – comprende la gravità del momento: si combatte per la salvezza dell’Italia; in un attimo raccoglie una squadra di arditi e scatta disarmato all’assalto. Quando la medaglia d’argento fu appesa al suo petto, ognuno di noi sentì ch’essa era meritato premio a Colui che – superando la grandezza della sua missione – aveva saputo, in una sintesi suprema, muovendo alla morte disarmato, fare di sé degno del sacerdote il soldato, del soldato il sacerdote»(10).
Il 24 giugno, festeggiato dal suo Reggimento, in occasione del suo onomastico, Don Minzoni scrive: «Ho passato una giornata piena di felicità, perché sento di avere fatto tutto il mio dovere e sento di essere tanto amato!». L’importante onorificenza gli viene concessa il 28 giugno 1918 a Treviso dal Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto di Savoia, comandante della III Armata. Il Generale Armando Diaz, Capo del Regio Esercito si complimenta con lui. Scrive Don Minzoni nel suo diario:«Il duca d’Aosta mentre appuntava la medaglia mi ha rivolto parole lusinghiere. Diaz, stringendomi la mano, mi ha ricordato l’impresa della mia missione sia nel campo spirituale che materiale… Sono fiero di essere fregiato di medaglia d’argento ma sono più fiero di essere veramente amato e stimato da soldati e superiori; questa ricompensa è più intima, più vera e di valore ». I seimila uomini che compongono la Brigata Veneto sfilano in parata in suo onore.(11)
Con la medaglia d‘Argento al Valore Militare, due Croci al Merito di Guerra e la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia saranno in totale 11 le medaglie conferite a Don Giovanni Minzoni (oggi tutte esposte, assieme ad altri cimeli, ad Argenta nel Museo a lui dedicato). Dopo la Guerra torna nella sua Argenta e il 24 giugno 1919 riceve il possesso della Parrocchia dall’arcivescovo mons. Pasquale Morganti. Il suo spirito, il suo impeto messi al servizio di Cristo e dei giovani fanno di lui, costantemente, un prete in prima linea: uscire dalla sacrestia e andare verso il popolo. Sul Diario annota:«Si apre un’era nuova, e piaccia al Signore che sappia affrontarla e viverla pienamente e con spirito giovanile». L’incontro con i suoi argentani avviene in divisa grigioverde con sul petto la croce rossa e le medaglie.(12) Passa di casa in casa, va a salutare uno per uno. La festa che si organizza al Ricreatorio non è descrivibile. Non si conosce una popolazione che abbia potuto amare più intensamente il suo parroco: un vero assedio d’amore attorno a don Giovanni.
Come arciprete, sviluppa una intensa attività pastorale particolarmente nel campo sociale e dell’educazione della gioventù.(13) Diviene ben presto ispiratore e guida delle iniziative pubbliche dei cattolici argentani, una minoranza attiva in questa cittadina nel drammatico clima politico e sociale successivo alla Grande guerra. Dimostrandosi sempre fidente e sereno, si prodiga nella chiesa e fuori, instancabilmente; ha come la febbre del lavoro, un continuo, acuto desiderio di migliorare le opere esistenti e di compierne delle nuove.
Di fronte alla opposizione, specialmente se subdola, da parte dei nemici della religione, Egli ha talvolta degli scatti e delle parole vivaci, però non tralascia ne serba alcun rancore. Con la sua bontà e lealtà anche nel confessare i propri torti e difetti, sa aprirsi la via ai cuori, o almeno imporre il rispetto e conciliarsi la stima degli stessi avversari.
Amando il decoro della casa di Dio, restaura ed abbellisce le cappelle ed altari nella chiesa di S. Nicolò. L’8 novembre 1919 ne dedica uno alla memoria dei caduti in guerra argentani, con lapidi che ricordano i nomi dei caduti.(14) Don Giovanni – così con affetto era chiamato dagli argentani – fonda i Circoli di Azione Cattolica maschile “Giosuè Borsi”, quello femminile “Sacro Cuore” e la sezione delle Donne cattoliche. Riorganizza il ricreatorio maschile, amplia con una galleria il teatro con l’unico cinematografo della zona; gli incontri del venerdì, aperti a tutti, assumono le dimensioni di una vera scuola di formazione. Riprende il doposcuola e riattiva la biblioteca circolante. Rilancia la filodrammatica, la vuole mista, cioè composta da giovani e ragazze, novità per quei tempi. Riattiva l’Opera Pia Liverani, per l’educazione delle fanciulle, dove funziona una scuola elementare parificata gestita dalle Suore di Carità. Apre un laboratorio femminile di maglieria facendo in modo che le macchine fossero in comproprietà con le operaie. Torna a presiedere l’Opera Pia Manica, il grande ricovero per gli anziani. Tramite l’Unione Professionale cattolica affitta una vasta tenuta agricola, la Bina, quindi fonda la cooperativa “Ex Combattenti” costituita per dare lavoro ai reduci e alla quale affida il compito di gestire la tenuta. Cooperativa che, dopo il suo assassinio, è fagocitata dai fascisti per l’alto valore del bestiame accumulato. Per realizzare tutte queste iniziative trova però molte difficoltà, di ogni genere, specie economiche. Sulla parrocchia gravavano infatti ancora i debiti lasciati dal predecessore don Bezzi e non tutti i cattolici argentani, specie i più facoltosi, sono generosi con lui, non vedendo di buon occhio il suo rivolgersi a tutti, anche ai più poveri e diseredati.
Pastore benefico e caritatevole, consigliere apprezzato e ricercato, ha la canonica sempre aperta ai parrocchiani, specialmente ai giovani ed ai bisognosi. Scrive Lorenzo Bedeschi:«Aperta la casa, aperto il cuore. Don Minzoni è stato anche uomo di carità. Una carità tacita e anonima. Quando per la festa di sant’Antonio andava a benedire le stalle e le campagne dei contadini, i doni in natura che gli venivano offerti finivano o alla “Salara”, il borgo più popolare, povero e anticlericale di Argenta, o ai prigionieri delle carceri. Di uova, salami, dolci non ne ha mai visto la sua perpetua». E ancora: «Per racimolare qualche piccolo utile Don Giovanni si serviva anche delle lotterie, che organizzava in occasione di manifestazioni religiose e feste varie. Le lotterie erano però anche il mezzo per aiutare i più bisognosi con discrezione, senza metterli a disagio. In pratica pilotava le ultime estrazioni in modo che giungessero agli interessati, secondo le loro necessità, scarpe, biancheria, indumenti per bambini o altro».
Il 7 ottobre 1921, per merito di don Minzoni, il Santuario della Madonna della Celletta è riaperta al culto «per lasciare irrompere al suo interno la fiumana di popolazione argentana». La chiesa, da secoli di proprietà della comunità argentana, era chiusa dal 1909 per disposizione del sindaco socialista Gaetano Zardi.
Nel luglio del 1922 Egli porta alla prima comunione un gruppo di giovani, cresciuti lontani dalla chiesa, da lui guadagnati alla religione. Con premura paterna condivide con loro la mensa e assicura loro l’assistenza in avvenire.(16)
Il 22 aprile 1923 organizza un grande Convegno di Azione cattolica al Santuario della Madonna della Celletta, al quale partecipano 500 giovani romagnoli e ferraresi.(17) Nel suo applaudito intervento invita i giovani a stringersi con rinnovati propositi di purezza e di azione alla bandiera di Cristo. Inoltre critica aspramente i fascisti per l’uccisione di Natale Gaiba, sindacalista socialista e consigliere comunale argentano. In tale occasione comunica pure la costituzione ad Argenta di due riparti di Giovani Esploratori cattolici, uno per Parrocchia, ai quali in breve aderiranno 70 ragazzi. Questa nuova iniziativa doveva però costargli nuove difficoltà, nuove lotte e il martirio.(18)(19)
Sempre in aprile aderisce al Partito Popolare Italiano fondato da don Luigi Sturzo e sottoscrive due abbonamenti al giornale “Il Popolo” di Donati. In maggio rinuncia con sdegno all’offerta fascista di divenire Cappellano della Milizia con i gradi di Centurione. Quando nell’estate del 1923 i capi fascisti di Argenta iniziano le prime iscrizioni alla costituenda Opera Nazionale Balilla, riescono a dare la tessera a pochissimi ragazzi, un grande smacco per loro. Ad Argenta, dove ogni iniziativa sia sindacale che associativa è in mano a Don Minzoni, si può comprendere l’inevitabile attrito che si viene a creare: da una parte tutta l’organizzazione cattolica capeggiata dall’Arciprete e dall’altra quella fascista incapace di sfondare.
Non piego dinanzi alla bufera di avversioni, di minacce, di persecuzioni, con coraggio e fermezza continua tenere i giovani stretti a sé e cerca in tutti i modi di persuadere gli avversari del suo diritto e dovere di lavorare per un’opera di elevazione morale e religiosa. A tale proposito don Minzoni scrive una lettera al capo del Fascio locale. In essa illustra quale è la missione di un parroco e in che consista l’azione cattolica voluta dal Papa, da non confondersi con la politica. Respinge l’accusa di fare politica e accenna al lavoro da lui svolto per 13 anni a favore della popolazione e della gioventù per un loro rinnovamento spirituale. Ribadisce il suo patriottismo dimostrato non solo in tempo di guerra. Egli dichiara:«Faccio del bene, ai cuori ed alle intelligenze, al popolano come al ricco, non per merito mio, ma per grazia divina; e se la mia missione è contrastata, allora fiero insorgo a protestare, poiché la Religione non ammette servilismi, ma il martirio… ».
In quei giorni scrive sul Diario:(20) «Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma, che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà: Come un giorno per la salvezza della Patria offersi tutta la mia giovane vita, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ritirarmi sarebbe rinunciare ad una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo ».
L’insorgente squadrismo fascista non nasconde la propria ostilità verso questo prete che, per il suo forte ascendente, attira attorno a sé tutta la gioventù argentana. Poco dopo la fondazione dei due Riparti di Esploratori cattolici, e quasi certamente proprio per questo, la sera di giovedì 23 agosto 1923, attorno alle 22,30 mentre rientrava da una passeggiata con Enrico Bondanelli, suo stretto collaboratore, viene proditoriamente aggredito da due sicari fascisti che con alcune bastonate gli sfondano il cranio.
Attorno alla mezzanotte il Martire, senza mai aver ripreso conoscenza e ricevuta l’Estrema unzione, spira nel suo modesto letto in canonica.
Venerdì 24 agosto 1923. La bara con la salma di don Giovanni Minzoni è vegliata ininterrottamente in Duomo dai suoi Giovani Esploratori in divisa e dalle Suore di Carità.(22) Il sabato viene eseguita l’autopsia in ospedale, quindi la salma viene ricomposta in Duomo e costantemente assistita dai sui ragazzi e dai fedeli affranti. Tutte le attività sono volontariamente chiuse “per gravissimo lutto cittadino” e le bandiere sono esposte a lutto. Domenica 26 agosto, ore 6,30 del mattino. S. Messa solenne di requiem sul piazzale davanti alla Chiesa. La quasi totalità degli argentani, che avevano imparato a stimare ed amare il Martire, sfilano commossi davanti alla sua bara, accompagnandolo a piedi fino al cimitero.(23) Da qui la bara, su un furgone scoperto, prosegue per Ravenna, scortata dagli Scout ferraresi e romagnoli e dai componenti i due circoli cattolici parrocchiali. All’arrivo a Ravenna onori militari da un plotone del 28° Fanteria con la musica reggimentale e da uno dei Carabinieri Reali.
Messa funebre, non in Duomo come spetterebbe ad un sacerdote assassinato, ma nella Chiesa di San Domenico. Questa è la decisione assunta dall’arcivescovo mons. Antonio Lega, che non partecipa al funerale e si fa rappresentare alla funzione da mons. Peppi e dal suo segretario personale.(24)
C’è da parte dell’autorità ecclesiastica l’evidente intenzione di non enfatizzare l’episodio, attribuendolo tacitamente a facinorosi personaggi locali. La Chiesa con queste posizioni defilate dimostra di avere tutti gli interessi a rafforzare il nuovo clima di conciliazione fra il Governo di Mussolini e il mondo cattolico, sottacendo nello specifico le ragioni politiche dell’assassinio
Il 30 agosto 1923, i Reali Carabinieri di Argenta, su disposizione dell’Autorità giudiziaria, arrestano alcune persone imputate della morte: Giovanni Bilanceri, Alessandro Caranti. Augusto Maran e Luigi Lanzoni.
Il 22 aprile 1924, il Tribunale di Bologna – per le pressioni ricevute dall’imperante potere fascista – assolve tutti gli imputati già in istruttoria.
23 settembre 1923. Don Giovanni Mesini, l’amico e confidente, pubblica il libretto: “In memoria di Don Giovanni Minzoni” che diverrà la base per tutti gli storici.
Maggio 1924, i giornali “L’Osservatore Romano” e “Il Popolo” chiedono nei loro articoli la riapertura del processo per l’assassinio di Don Minzoni.
23 agosto 1924. Il giornale “La Voce Repubblicana” pubblica il Memoriale Beltrani che chiama in causa Italo Balbo come mandante dell’uccisione dell’Arciprete di Argenta. Tomaso Beltrani, fino ai primi del 1924 segretario politico del Fascio di Ferrara, nel frattempo è fuggito in Francia dove verrà poi ucciso da ignoti. Balbo querela il giornale per diffamazione. 19 novembre 1924. Processo “Italo Balbo-La Voce repubblicana”. Il Tribunale di Roma assolve il giornale con questa sentenza: “Non è diffamazione scrivere la verità”. Balbo pagherà le spese processuali e sarà costretto dal Duce a dimettersi da Comandante generale della milizia volontaria nazionale.
15 dicembre 1924. Il Procuratore Generale del Tribunale di Bologna dispone la riapertura del procedimento dell’assassinio di Don Minzoni presso il Tribunale di Ferrara
Aprile 1925. Il Tribunale di Ferrara dispone a giudizio otto indiziati. Vittore Casoni, Agostino Guaraldi, Luigi Lanzoni, Augusto Maran e Antonio Molinari vengono arrestati. Il console Raoul Forti, il centurione Carlo Ciaccia e il tenente Tomaso Beltrani sono contumaci. Su Italo Balbo, il potente gerarca fascista ferrarese, non si è osato elevare alcuna accusa
21 luglio 1925. Inizia il procedimento. Non si tiene conto delle prove schiaccianti. Del “Memoriale Beltrani” e delle precedenti deposizioni. Il 1° agosto 1925, per le forti pressioni fasciste sia sui testimoni sia sugli avvocati, la Corte d’Assise di Ferrara assolve ancora una volta, gli imputati. Questi, subito liberati, vengono portati in trionfo per le strade della Città.
16 maggio 1946. Il fascismo è caduto. L’Italia è una Repubblica. Sono passati 21 anni dal secondo processo Don Minzoni. La Corte di Cassazione dichiara l’inesistenza giuridica del precedente verdetto e ordina un nuovo processo.
6 giugno 1947. Si apre il terzo processo a Ferrara. Molti imputati sono nel frattempo deceduti. Il 20 giugno 1947 i tre presenti sono giudicati colpevoli di omicidio preterintenzionale e lesioni violente: Vittore Casoni e Giorgio Molinari quali esecutori, Augusto Maran quale mandante. Ma per sopraggiunta amnistia nazionale emessa per la fine della guerra, vengono messi in libertà.
I motivi dell’assassinio di Don Minzoni sono chiarissimi: la sua “colpa” fu quella di non sciogliere gli Scout cattolici e di non spingere i giovani di Argenta nelle file dello squadrismo fascista. Da qui la “lezione” che gli si volle impartire: una forte bastonatura – pratica ampiamente raccomandata e utilizzata, in quel tempo, contro gli oppositori del fascismo – che ebbe, al di là delle intenzioni, un effetto mortale.
A cura di Sergio Caranti. © Museo Don Giovanni Minzoni di Argenta, 2023



